Cyber rape: il caso LambdaMOO

Sono passati 30 anni, ma il tema non solo non si è estinto, bensì si è amplificato ancor di più nel contesto attuale. Nel 1993, il giornalista freelance Julian Dibbell porta alla luce un episodio straordinario accaduto nel mondo virtuale di LambdaMOO, un MUD Object Oriented (MOO). Nel suo articolo, “A Rape in Cyberspace,” Dibbell racconta un’oscura storia di manipolazione e violazione che avrebbe scosso le fondamenta della percezione della realtà virtuale.

LambdaMOO, la piattaforma al centro di questo straordinario episodio, è un MUD. In termini più semplici, un MUD è un videogioco di ruolo online in cui le azioni e le interazioni si svolgono digitando comandi da una tastiera. Tuttavia, LambdaMOO si distingue per la sua natura orientata agli oggetti, consentendo agli utenti un’ampia personalizzazione dei propri personaggi, del movimento, delle interazioni con oggetti, ambienti e altri profili.

La comunità emerge come una sorta di società autogestita online, caratterizzata da spazi di discussione, momenti di svago e delibere collettive. Inizialmente, non vi erano restrizioni sui comportamenti degli utenti, mancava una legge scritta per regolare questa società virtuale in continua evoluzione. Un dettaglio affascinante è che tutto questo mondo digitale, composto da un intricato intreccio di personaggi, stanze, ambienti, chiacchiere e interazioni, esiste unicamente sotto forma di testo. L’intero mondo digitale, fatto di testo, si trasformava così in uno spazio dinamico popolato da personaggi, stanze, conversazioni e relazioni.

Questo contesto aggiuntivo sottolinea la peculiarità di LambdaMOO come una realtà virtuale vivace, popolata da avatar programmabili e gestita in modo dinamico dagli stessi utenti. La mancanza di regolamenti iniziali ha contribuito a creare uno spazio digitale libero, ma, come vedremo il #cyberrape avrebbe scosso questa comunità, portando a riflessioni profonde sulla necessità di governare questa società virtuale in rapida crescita.

Nel marzo 1993, un utente noto come Mr. Bungle perpetrò un “Cyber-Stupro.” Utilizzando un sottoprogramma chiamato “bambola voodoo”. Questa violazione sessuale degli avatar suscitò indignazione, stimolando dibattiti circa il confine tra vita reale e realtà virtuale e sull’autogoverno della piattaforma.
L’articolo di Dibbell documentò le reazioni emotive degli utenti, molti dei quali espressero sdegno ma nonostante la rabbia e l’indignazione, la comunità si trovò divisa su come affrontare Mr. Bungle. Durante una riunione online, i membri discussero delle possibili azioni, ma furono incapaci di prendere decisioni definitive. Alla fine, uno dei master-programmatori chiuse l’account di Mr. Bungle, dando vita a una delle prime risposte ufficiali.
In seguito all’incidente, la piattaforma implementò un sistema di petizioni e votazioni, permettendo agli utenti di influenzare il governo della comunità. Nuove funzionalità, come il comando @boot per disconnettere temporaneamente gli utenti molesti, furono introdotte. Il caso di Mr. Bungle innescò una profonda riflessione sulla sovranità e il governo delle comunità virtuali.


LambdaMOO, con il suo percorso tumultuoso, ha contribuito a plasmare la governance delle comunità online, aprendo la strada a nuove regole e norme nel vasto territorio del cyberspazio. La sua storia rimane un monito sulla complessità delle relazioni digitali e sulla necessità di riflettere attentamente sulla gestione di spazi virtuali sempre più interconnessi alla vita reale.

@neurobytes

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approfondimenti: https://read.dukeupress.edu/books/book/1747/chapter-abstract/183796/A-Rape-in-Cyberspace-or-How-an-Evil-Clown-a?redirectedFrom=fulltext